giovedì 14 novembre 2019

Vi presentiamo oggi una ricetta, a cura del corporate chef della Divella, Donato Carra, riguardante le fave secche decorticate. Ecco gli ingredienti e la preparazione.
Per gli ingredienti: 600 g cicoria, 300 g fave secche decorticate, 3 pz fette di pane casareccia, peperoncino fresco (a piacere), olio extravergine di oliva, sale e se siete golosi della cipolla rossa di Acquaviva soffritta.
Questa la preparazione: fate reidratare le fave in una ciotola piena di acqua fredda per almeno 8 ore. Potete metterle in ammollo alla sera per averle pronte da cucinare al mattino dopo. Sgocciolatele e lessatele per circa 1 ora in acqua bollente poco salata. Scolatele e trasferitele in una ciotola. Conditele con olio e sale. Schiacciatele con una forchetta più o meno grossolanamente, secondo il vostro gusto. Mondate la cicoria eliminando le parti più coriacee e lessatela in acqua salata per 2 minuti dal bollore. Scolatela e strizzatela delicatamente. Conditela con olio, sale e qualche rondella di peperoncino fresco (a piacere). Le fette di pane in tocchetti abbrustolitele in una padella rovente senza aggiungere condimenti. Distribuite le fave nei piatti, unite la cicoria e i tocchetti di pane. Condite con un filo di olio poco prima di servire. Se siete ancora più golosi tagliate a julienne una cipolla rossa di Acquaviva e soffrigetela con poco olio evo e adagiatela sopra i crostini. 

venerdì 1 novembre 2019

SALERNO. Sempre più dinamico il comparto agroalimentare in Puglia. Le imprese agricole sono 78.708 e le industrie dell’alimentare 5.929 (dati Ismea 2018).
È quanto emerge dal Rapporto sulla Competitività dell’Agroalimentare nel Mezzogiorno, presentato da ISMEA, Fiere di Parma e Federalimentare presso l’Università degli Studi di Salerno.
Lo studio evidenzia come i recenti mutamenti dello scenario globale abbiano sostenuto una crescita senza precedenti delle esportazioni del Made in Italy alimentare, grazie a una ritrovata coerenza del modello di specializzazione agroalimentare italiano con le tendenze della domanda mondiale, che ha spinto l’export agroalimentare del Sud a toccare la cifra di 7 miliardi di euro nel 2018.
Nel Mezzogiorno, nonostante il consistente e duraturo impatto della crisi economica iniziata nel 2008, il permanere di un tessuto imprenditoriale caratterizzato da imprese medio-piccole e, più in generale, la conferma di alcuni storici limiti allo sviluppo economico, il settore agroalimentare è cresciuto, nell’ultimo triennio, in termini di valore aggiunto - che supera i 19 miliardi di euro -, di numero di imprese - 344 mila imprese agricole e 34 mila imprese dell’industria alimentare - e di occupati, che si attestano a circa 668 mila unità, pari al 10% del totale occupati al Sud.
Anche il confronto con il Centro-Nord mette in evidenza come, nello stesso periodo, il fatturato dell’industria alimentare sia cresciuto più al Sud (+5,4%) che nel resto del Paese (+4,4%).
La specifica composizione settoriale, l’elevata incidenza delle medie imprese – che si sono rivelate quelle più dinamiche e in grado di adattarsi ai mutati scenari – oltre che il determinante contributo delle imprese di più recente costituzione, hanno consentito all’agroalimentare del Mezzogiorno di ottenere performance di tutto rispetto e, in taluni casi, superiori a quelle dei corrispondenti settori del Centro-Nord.
Performance positive hanno riguardato soprattutto alcune filiere come caffè, cioccolato e confetteria (+14%), prodotti da forno (+18%), olio (+21%); in generale, un rinnovamento generazionale e la presenza di imprese più giovani hanno determinato maggiore dinamicità e capacità di rispondere alle esigenze del mercato.
Tra gli elementi più critici, soprattutto pensando alla necessità di agganciare il treno dell’innovazione, preoccupano i bassi livelli di immobilizzazioni nelle imprese del Mezzogiorno e il fatto che esse siano sostanzialmente tecniche con poca attenzione a quelle immateriali.
"Lo studio di ISMEA descrive il sistema agroalimentare meridionale come una realtà in forte espansione" ha detto Elda Ghiretti, Cibus and Food Global Coordinator, Fiere di Parma "Un dato confermato anche dall’aumento della partecipazione delle aziende del Sud a Cibus, passata negli ultimi 5 anni dal 17% al 36%. Cibus è la fiera alimentare di riferimento all’estero e vede la partecipazione di migliaia di buyer internazionali. La cresciuta partecipazione delle imprese meridionali a Cibus ha contribuito – ha riferito Ghiretti – all’aumento dell’export dei prodotti agroalimentari del Meridione che nel 2018 aveva toccato la quota di 7 miliardi e 110 milioni di euro, con un aumento del 6,1% nel quadriennio 2015/2018. Un dinamismo sostenuto anche dalla creazione di nuove forme di aggregazione private, come consorzi e associazioni, che consentono anche ad imprese di medie dimensioni di interloquire con importatori e distributori esteri".
"Un trend positivo quello del nostro settore nel Mezzogiorno sia in termini occupazionali  che in termini di fatturato – ha aggiunto il direttore di Federalimentare, Nicola Calzolaro – con grandi margini di crescita su diversi fronti. Uno su tutti, l’export. L’agroalimentare del Sud, infatti, è ancora molto orientato al mercato italiano e poco alle esportazioni che rappresentano meno del 20% di quelle totali del Paese. Una porzione davvero troppo piccola se si pensa alla potenzialità del nostro sud e all’importanza strategica dell’export per l’Italia. È necessario, dunque, l’impegno di tutti per farlo crescere e questo può avvenire attraverso l’innovazione, ma soprattutto attraverso un potenziamento della rete infrastrutturale senza la quale non si potranno mai sfruttare appieno le grandi possibilità dell’alimentare nel Mezzogiorno".
"L'agroalimentare nel Mezzogiorno riveste un ruolo sempre più rilevante, con primati in molti settori e una buona tenuta economica, segnali positivi che vanno letti con attenzione – ha dichiarato Fabio Del Bravo; occorre rafforzare adeguatamente la fase agricola e la sua integrazione con la parte a valle della filiera, favorire gli investimenti – soprattutto in innovazione – e prendere atto dei limiti, per esempio strutturali, individuando percorsi che già nel breve possano portare benefici: una maglia produttiva di dimensioni piccole è certamente un problema su molti fronti, ma lo è molto di più per le produzioni standardizzate che fronteggiano concorrenza di prezzo, piuttosto che per i prodotti differenziati del made in Italy. Incentivare forme di aggregazione e l’orientamento a produzioni tipiche che in quest’area hanno ancora molte potenzialità inespresse, può rivelarsi una leva strategica importante e può avviare un percorso di successo realmente attuabile".

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